Memorial 2021 Felice PuliciPresentato in Campidoglio il libro di Alfredo Parisi |
12.01.2023- I recenti scontri tra sedicenti tifosi del Napoli e della Roma hanno, nuovamente, riproposto le ritenute necessità di adottare ulteriori misure restrittive e sanzionatorie.
Nell’ambito di tali misura si è parlato e si parla di Daspo a vita.
Ciò premesso, ritengo opportuno e utile esprimere alcune considerazioni al riguardo.
Il Daspo ha natura giuridica di misura di prevenzione atipica e, per essere applicato, secondo la Sentenza n.222/66 della Cassazione, III Sezione Penale, del 3 febbraio/ 27 maggio 2016, richiede la sussistenza di “ ragioni di necessità e urgenza,pericolosità concreta ed attuale del soggetto, attribuibilità al medesimo delle condotte addebitate”.
Principi, quelli sopra sanciti, che sono l’estrinsecazione dell’art. 27, 1° comma, della Costituzione secondo cui “la responsabilità penale è personale” e del 2° comma dello stesso articolo secondo cui” le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Aggiungasi che, secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, i principi sopra enunciati sono validi, non solo in materia penale ma anche amministrativa ed i ogni caso di provvedimenti aventi carattere punitivo/afflittivo previsti dall’ordinamento interno di uno Stato Membro nazionale.
Laddove è di tutta evidenza che un eventuale Daspo a vita risulterebbe in contrasto con i requisiti, entrambi costituzionali, di concreta ed attuale pericolosità del soggetto e in contrasto con il principio di umanità della pena e della funzione meditativa di quest’ultima.
Peraltro, esiste già un nutrito corpus juris finalizzato a prevenire e sanzionare fenomeni come quelli recentemente verificatisi, purchè, naturalmente, si sia in grado, ogni volta che tali fenomeni si verificano ,di “ provare comunque la concreta ed effettiva partecipazione del soggetto agli episodi di violenza o anche solo di minaccia o istigazione “ (cfr Sentenza Consiglio di Stato, III Sezione giurisprudenziale, del 10 dicembre 2014).
Tutto sta, dunque, non tanto nella gravità, anche in termini di durata, della misura irrogabile, quanto nella possibilità e capacità delle Forze dell’Ordine di individuare e identificare, dentro e fuori gli stadi, i violenti ed i facinorosi.
Con ciò evitandosi di colpire nel mucchio sulla base di mere presunzioni e facendo processi alle intenzioni, mediante l’adozione di provvedimenti, poi, non in grado di superare il vaglio di legittimità.
Avv. Massimo Rossetti.
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