11 novembre 2020 -Il Prof. Giorgio Palù, Presidente Emerito della Società Italiana ed Europea di virologia, in una sua intervista del 7 novembre, al quotidiano “La Verità” ha parlato espressamente di un “ Problema reale di falsi positivi”.
Più precisamente, il Prof. Palù ha sostenuto che la presenza di un solo gene dei 3 ( gene E,gene RDPR, gene N) che certificano, con assoluta certezza, la positività al covid 19, non è idoneo di per sé a certificare tale positività.
In precedenza, con una Nota Stampa, rinvenibile su internet, dell’8 maggio scorso, l’Azienda Ospedaliera Moscati di Avellino ( cioè la città dove ha sede il Laboratorio di analisi di cui si è servita la Lazio per i tamponi dei propri calciatori) aveva a propria volta parlato di “ falsi positivi”.
Ciò con riferimento alla presenza di un solo gene N.
In particolare, nella richiamata Nota si evidenziava come il Ministero della Salute avesse soltanto “consigliato” di considerare positivi i tamponi recanti la presenza dell’unico gene N, precisando che, ove il soggetto fosse asintomatico e fosse risultato, grazie a successivi tamponi, positivo soltanto al predetto gene, si poteva essere sicuri circa la sua negatività.
Peraltro, il medico sociale della Lazio, Ivo Pulcini, in una sua intervista a “ Il Corriere dello Sport” del 5 novembre scorso, aveva mostrato di aderire al parere medico-scientifico del Prof. Palù e dell’Azienda Ospedaliera Moscati di Avellino oltreché di altri, pure autorevoli, pareri medico-scientifici.
Risulta che il Ministero della Salute non ha ordinato, in maniera imperativa e precettiva, che la presenza di un solo gene, in specie il gene N, nelle analisi relative al covid 19, comporti la positività del soggetto analizzato.
Il Ministero, infatti, come rilevato nella citata Nota dell’Azienda Ospedaliera Moscati, si è limitato a “consigliare”, nel caso di cui sopra, di certificare la positività.
Non può, quindi, ritenersi vietato o illecito che un laboratorio di analisi e un medico non accolga il consiglio del Ministero, sulla base, come si è visto, di fondate ragioni scientifiche.
Non solo, ma ammesso, pure, che il “consiglio ministeriale” possa essere assimilato ad un ordine, anche in tale ipotesi, occorre soffermarsi sulla natura giuridica delle circolari ministeriali.
Queste ultime rappresentano una delle fonti del diritto amministrativo, ma esse , in base ad una costante giurisprudenza ( ved. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 2916, del 28.05.2013; Sezione IV, sentenza n. 312 del 28.01.2016; nonché Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 23031 del 2.11.2007), non hanno valore normativo e provvedimentale e, comunque, non vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione che le emana.
Esse sono dotate di efficacia vincolante, esclusivamente, interna nell’ambito di tale amministrazione.
Aggiungo che il Consiglio di Stato, con parere n. 567 del 7.03.2017, ha avuto modo di ribadire che le circolari hanno carattere meramente interno e non vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione che le emana, né possono essere riconducibili alla stregua di disposizioni interpretative di atti normativi.
D’altronde, anche le circolari, così dette “ regolamentari” sono considerate ammissibili solo qualora anticipino, con istruzioni operative, il contenuto di norme di legge o di provvedimenti amministrativi in corso di approvazione o non ancora approvati.
Ne consegue che, alla luce di quanto precede, non possa ritenersi che vi siano norme di legge o provvedimenti amministrativi che impongano a laboratori di analisi e a soggetti estranei all’amministrazione pubblica, quali sono società di calcio e loro responsabili medici, di dover dichiarare la positività al covid 19 di soggetti nei cui confronti venga rilevata, in specie a seguito di plurimi tamponi, la presenza di un solo gene e, in particolare, del gene N.
Rimarco, infine come prosegua l’accanimento terapeutico , per usare una terminologia medica, di alcuni organi di informazione e di taluni singoli giornalisti ed opinionisti, nei confronti della SS Lazio spa e di suoi esponenti.
Una forma non civile di esposizione che, tendenzialmente e tendenziosamente, è idonea a radicare nell’opinione pubblica, a indagini della giustizia sportiva e ordinaria in corso, il convincimento della colpevolezza dei soggetti ai quali si riferisce.
In questo modo, trasformando il principio di presunzione di innocenza ex art. 27, 1 comma, Costituzione, nel suo esatto contrario.
Quanto sopra, violando anche il Titolo III “ Doveri in tema di informazioni”, art. 8, 1° comma, della “Carta dei Doveri dei Giornalisti”, secondo cui “ Il giornalista rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza”; con violazione, inoltre, anche del 4° comma dello stesso articolo 8, secondo cui il giornalista “ cura che risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi di giudizio dei procedimenti e dei giudizi”.
Avv. Massimo Rossetti.
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